I ghiacciai sono elementi fondamentali per gli ecosistemi montani. Sono dotati di un movimento proprio e a causa del riscaldamento globale si stanno ritirando. Approfondiamo cause e conseguenze del fenomeno.

I ghiacciai sono imponenti masse di ghiaccio che si formano nel tempo nelle aree del nostro pianeta dove le temperature sono più basse, e si spostano nel tempo. Si trovano in alta montagna e nelle regioni polari in seguito alla compattazione di diversi strati di nevi persistenti che si accumulano sul suolo per lunghi tempi.

Sono elementi fondamentali della natura: ovunque si siano formati, hanno indotto un impatto significativo sul paesaggio e sull’ambiente. Infatti, anche se sembrano immobili, i ghiacciai sono dotati di un costante movimento che è capace di modellare il territorio grazie ad azioni di erosione e di deposizione.

Inoltre, i ghiacciai sono fondamentali per l’equilibrio degli ecosistemi, e la loro fusione e il loro ritiro non sono una buona notizia. Vediamo più approfonditamente come nascono, come si muovono e come come risentono del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici.

I ghiacciai nascono a partire dalla neve, ovvero acqua allo stato solido. Si formano dove le condizioni atmosferiche portano a frequenti nevicate (quindi ad alte latitudini e/o ad alta quota) in grado di accumularsi, per esempio negli avvallamenti del terreno. I fiocchi di neve che si depositano a terra e non fondono si accumulano nel tempo. Quando si accumula una quantità di neve sufficiente, i cristalli di cui è composta la neve sono compattati dalla neve fresca soprastante, aumentando così la propria densità.

Con il passare del tempo, se continua a nevicare, i cristalli di neve si compattano sempre più, cominciando ad accorparsi tra loro e formando un materiale che si chiama nevato, cioè una massa di neve che ha circa metà della densità dell’acqua (quindi molto più densa della neve fresca). Continuando con questo processo, il nevato persiste con la compattazione espellendo l’aria in eccesso fino a quando la densità arriva al 90% di quella dell’acqua: a questo punto il ghiacciaio è formato e il materiale ha il tipico colore bianco-azzurro che li contraddistingue.

La glaciologia suddivide i ghiacciai in due grandi categorie.

Le calotte polari. Si formano nelle aree polari, quindi in aree non montuose. Il ghiaccio delle calotte è spesso al centro e più sottile ai bordi. Sulla Terra esistono solo due grandi calotte polari: una in Groenlandia e una in Antartide. Queste calotte possono arrivare fino al livello del mare e le parti di ghiaccio che si staccano danno vita agli iceberg;
I ghiacciai montani. Sono i ghiacciai che si formano in alta montagna, dove il ghiaccio si accumula coprendo il rilievo sottostante. Hanno una superficie più piccola rispetto alle calotte:  raramente superano i 1000 km2.

Considerando solo i ghiacciai montani, è possibile riconoscere delle sottocategorie in base al tipo di rilievo che ricoprono:

i ghiacciai di altopiano ricoprono grandi altopiani e sono molto comuni in Canada o Alaska;
i ghiacciai alpini coprono depressioni e conche del terreno a quote elevate e sono molto comuni sulle Alpi. Ghiacciai di questo tipo si prolungano spesso verso le valli con lembi chiamati “lingue glaciali” e formano i ghiacciai vallivi. I ghiacciai alpini molto piccoli, confinati nei bacini da cui hanno origine e che non possiedono alcuna lingua glaciale, si chiamano ghiacciai di circo.

Per essere chiamata “ghiacciaio”, una massa glaciale deve essere in movimento. I ghiacciai sembrino immobili, ma sono in costante movimento. Le calotte polari, per esempio, scorrono radialmente a partire dalla zona centrale del continente fluendo verso l’esterno. I ghiacciai montani, invece, scivolano verso il basso per azione della gravità: un fenomeno chiamato “scorrimento basale”.

Le masse glaciali sembrano immobili solo perché, nella parte da cui inizia il movimento, il ghiaccio continua a riformarsi, mentre nell’estremità del ghiacciaio verso cui scorre il movimento il ghiaccio fonde.

Per capire meglio, possiamo immaginare un ghiacciaio alpino: nella parte superiore la quantità di ghiaccio aggiunta ogni anno dalle precipitazioni nevose è superiore a quella che si perde per fusione, mentre nella parte inferiore avviene il contrario, cioè si perde più ghiaccio rispetto a quello che si forma a causa delle temperature più alte. Lo stesso avviene alle calotte polari, dove al centro si crea ghiaccio e ai bordi si perde.

La struttura di un ghiacciaio
Tutti i ghiacciai possono essere divisi quindi in tre porzioni:

zona di alimentazione, dove la formazione del ghiaccio è superiore alla sua perdita;
zona di ablazione, dove la perdita del ghiaccio è superiore all’accumulo;
zona di equilibrio, che sancisce la transizione da una zona all’altra.
I ghiacciai si muovono molto lentamente, solitamente pochi centimetri al giorno. Testimonianza di questi movimenti sono gli iceberg, che si staccano a causa della pressione del ghiacciaio retrostante, o i crepacci, comuni nei ghiacciai alpini. Inoltre, anche le varie forme delle nostre montagne o le conche che formano i maggiori laghi di oggi testimoniano un modellamento causato dal movimenti di antichi ghiacciai.

Il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici hanno un impatto rilevante sull’estensione dei ghiacciai attuali. Infatti, le temperature più alte stanno facendo indietreggiare la linea di equilibrio dei ghiacciai: ciò significa che la zona di ablazione è sempre più estesa e quella di accumulo è sempre più modesta.

I ghiacciai dipendono molto dalle temperature e dalle precipitazioni, quindi sono un indicatore molto sensibile del cambiamento climatico. Inoltre, sono elementi molto importanti per gli ecosistemi e per l’ambiente: per esempio, i ghiacciai alpini forniscono acqua in estate utile all’agricoltura grazie alla loro fusione. Una loro ritirata, e una loro possibile scomparsa, significa meno acqua in estate, oltre a una modifica dell’equilibrio nell’ambiente da dove si stanno ritirando che potrebbe tradursi in un aumento dell’instabilità e delle frane. Per questo motivo si stanno perciò delle tecniche per ritardarne la fusione.

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