La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.

Il dibattito sull’art. 29 si concentrò su un emendamento al secondo comma che chiedeva all’Assemblea di approvare il principio dell’indissolubilità del matrimonio. In aula si scontrarono due orientamenti: il primo favorevole a sancire l’indissolubilità del matrimonio come tutela per l’istituto della famiglia e per impedire l’eventuale introduzione del divorzio; il secondo contrario a proclamare in quanto non vi erano i presupposti politici per giustificare un simile provvedimento (durante la discussione nessun costituente prese la parola per proporre o difendere il divorzio). L’Assemblea votò a scrutinio segreto la soppressione dell’emendamento con 194 voti a favore e 191 contrari.
Altra questione assai discussa fu la definizione di famiglia come «società naturale». Il relatore Camillo Corsanego (Democrazia cristiana) spiegò il senso della definizione evidenziando «la preesistenza del diritto originario e imprescrittibile che ha la famiglia per la sua costituzione, finalità e difesa» e sostenendo che lo Stato «non crea questo diritto che è preesistente, ma lo riconosce, lo tutela e lo difende».

L’articolo riconosce alla famiglia una posizione preminente all’interno della società. Il riconoscimento giuridico della famiglia avviene attraverso l’istituto del matrimonio, che può essere civile (celebrato presso il municipio dal sindaco o da un suo rappresentante) o concordatario (con una cerimonia religiosa che rispetta il diritto canonico ed è riconosciuta dallo Stato).
Come abbiamo visto, i costituenti decisero di non introdurre l’indissolubilità del matrimonio nella Costituzione: ciò ha consentito l’approvazione di una legge che consente il divorzio (confermata nel 1974 dall’esito di un un referendum). Il secondo comma, inoltre, ha permesso la riforma del diritto di famiglia (1975), che ha modificato il Codice civile del 1942, che prevedeva un modello familiare in cui l’autorità del capofamiglia prevaleva sulla volontà della moglie e dei figli.
Fra le novità introdotte vi sono la soppressione dell’istituto della dote, la sostituzione della patria potestà con la patria parentale (spettante in ugual misura al padre e alla madre), l’abolizione della potestà maritale (della prevalenza, cioè, del marito sulla moglie), il principio di reciproca fedeltà fra i coniugi.