Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Dopo l’accordo del 1984, la giurisprudenza ha iniziato a discutere la legittimità della distinzione tra «parità di trattamento» e «uguale libertà» delle confessioni religiose voluta dall’Assemblea Costituente. La disparità di trattamento tra le diverse confessioni religiose è ormai giudicata «insostenibile»: nel 1993, infatti, la Corte Costituzionale ha sostenuto che tutte le confessioni religiose sono «in grado di rappresentare i bisogni religiosi dei propri membri» e, quindi, non possono essere discriminate.
Tuttavia, l’ordinamento italiano non ha ancora eliminato le disparità perché distingue gerarchicamente fra la Chiesa cattolica, le confessioni dotate di intesa (Tavola valdese, Unione comunità ebraiche…), le confessioni ricosciute dalla legislazione sui culti ammessi (lo Stato riconosce circa 100 culti quali, per esempio, la Comunità greco orientale ortodossa, la Comunità di fedeli di rito armeno gregoriano, la Chiesa evangelica luterana etc…) e quelle prive di riconoscimento(Chiese di Cristo, Chiesa cristiana millenarista, Chiesa cattolica apostolica…). Secondo molti giuristi, per superare l’effettiva disparità di trattamento sarebbe necessaria l’abrogazione della disciplina sui «culti ammessi» (che risale al biennio 1929-30) e l’approvazione di una legislazione unilaterale sulla libertà religiosa.  Fino ad oggi, però, tutti i tentativi fatti sono sempre falliti in quanto un provvedimento simile conferirerebbe pieno riconoscimento anche a quelle confessioni che sono contrastate da settori più o meno ampi della società.