Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

Il dibattito si focalizzò sul primo comma, con il quale i costituenti vollero garantire la libertà di manifestazione del pensiero sia ai cittadini italiani che agli stranieri presenti sul territorio della Repubblica. La Democrazia cristiana, attraverso l’on. Giulio Andreotti, propose di modificare il primo comma sostituendo «tutti» con «tutti i cittadini», ma l’Assemblea rigettò la proposta dopo questo intervento dell’on. Gustavo Ghidini (Partito socialista italiano): «Credo che il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero, attraverso ogni forma, non appartenga al cittadino in quanto facente parte dello Stato italiano ma appartenga alla personalità umana. E questo diritto io lo riconosco a tutti: stranieri o cittadini che siano. Se invece con questa sostituzione si mira a creare una misura di carattere protezionistico nei riguardi dell’industria editoriale, le opportune misure potranno essere prese in altra sede».

L’art. 21 garantisce la libertà di manifestazione del pensiero che è ritenuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza uno dei fondamenti dell’ordinamento italiano, tanto che entrambe escludono la possibilità di sottoporre il principio a revisione costituzionale. Sulla base delle norme dell’art. 21, la giurisprudenza riconosce pienamente il diritto di cronaca e la libertà di informare in quanto si ritiene impossibile distinguere fra espressione del pensiero e narrazione dei fatti.
Oltre alla libertà di informazione, la Corte costituzionale ha affermato che il pluralismo informativo è il «valore centrale» di ogni ordinamento democratico. Con una sentenza del 1993 (n. 112), la Corte ha sostenuto l’esistenza di un imperativo costituzionale, che impone un diritto all’informazione caratterizzato: dal pluralismo delle fonti a cui attingere notizie e conoscenze; dall’obiettività e dall’imparzialità dei dati forniti; dalla correttezza e dalla completezza dell’attività di informazione; dal rispetto della dignità umana; dal rispetto dell’ordine pubblico e del buon costume.
I soli limiti imposti alla libertà di manifestazione del pensiero riguardano il dovere di difendere la Patria (non diffusione di notizie che riguardano la sicurezza dello Stato), il segreto giudiziario (non diffusione di atti processuali per garantire l’efficace andamento della giustizia), la difesa della riservatezza e dell’onorabilità delle persone.