Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome.

Approvando questo articolo, l’Assemblea costituente volle ribadire e precisare il principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Con l’art. 22 i costituenti introdussero nell’ordinamento italiano uno dei principi fondamentali dei moderni Stati di diritto, ovvero che, in una democrazia, la ‘morte civile’ non può essere in alcun modo accettata.
Approvando l’articolo, la Costituente sottolineò come la legge avrebbe potuto stabilire limitazioni alla capacità giuridica dei cittadini, quali alcuni divieti di azione (per esempio, l’interdizione dagli uffici pubblici) o sanzioni più gravi (la perdita della patria potestà).
Molto dibattuta fu la questione della privazione della cittadinanza per «motivi politici»: vi era, infatti, il timore che questa formula potesse impedire al legislatore di prevedere la perdita della cittadinanza come sanzione per quei cittadini eventualmente condannati per reati puniti dal Codice penale come «politici» (per esempio, le attività di spionaggio a vantaggio di uno Stato straniero).

La principale finalità dell’articolo è quella di evitare eventuali soprusi dello Stato ai danni dei cittadini (i costituenti avevano ben presente l’esperienza del regime fascista che, per esempio, decise l’italianizzazione del nome di quanti appartenevano alle minoranze linguistiche, nonché la perdita della cittadinanza per gli oppositori del regime riparati all’estero e per gli ebrei).
Per questi motivi, l’art. 22 vieta espressamente che un individuo (cittadino italiano o straniero) possa essere privato della propria personalità giuridica, ovvero dell’identità (il nome), della capacità giuridica (la possibilità di diventare titolare di diritti e di doveri) e della cittadinanza (l’insieme dei diritti e dei doveri conseguenti l’appartenenza allo Stato italiano).
In realtà, le norme contenute nell’art. 22 non hanno suscitato particolare interesse, tanto è vero che i rari interventi della Corte costituzionale in materia di cittadinanza si sono richiamati all’art. 3 («Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge[…]») e non all’art. 22.